La nostra storia è ambientata nei primi anni ’80, in Gran Bretagna.
Cornice della storia: l’inflazione e la disoccupazione. Entrambi triplicati in pochi anni.
Questi due fenomeni, da soli, metterebbero in crisi qualunque primo ministro si trovi a fronteggiarli.
E di fatti la popolarità dell’allora premier britannico fu una catastrofe. Occorrevano, si disse, riforme. Smuovere le acque, ma in una certa direzione. La direzione era quella liberista. Tagli alla spesa pubblica, al lavoro, privatizzazioni. I cittadini non avrebbero mai accettato di raccogliere questo beneficenza. E tuttavia il paese era pur sempre, nella ufficialità, un paese democratico. Quindi la strada dell’imposizione non era percorribile. Occorreva per prima cosa portare consensi al partito, raccogliere la popolazione attorno al premier, poi accettare –come contropartita- di pagare il pedaggio. Accettando, in definitiva, la medicina amara.
Il 2 aprile 1982 l’Argentina invase le isole Falkland, un rottame dell’impero coloniale britannico.
Il poeta argentino Borges in quei giorni parlò di “due calvi che si disputano un pettine”.
La risposta fu un attacco feroce delle forze britanniche, centinaia di cadaveri da ambo le parti, e la vittoria inglese: un sano orgoglio nazionale. Una pioggia di popolarità, e l’acclamazione in patria di quella che divenne la “donna di ferro”. Cioè quanto serviva a Margaret Thatcher per spingere la nazione verso quelle riforme.
Ma non bastò, era solo l’inizio dell’avventura.
Il consenso massiccio, quello vero e inoppugnabile, la signora Thatcher lo conquistò un paio di anni dopo. Quando il nemico, il responsabile dei mali nazionali, fu individuato dal governo nei suoi stessi lavoratori.
Ve lo ricordate quel film, Billy Elliot?
“Nelle Falkland”, disse il premier britannico, “abbiamo combattuto il nemico esterno. Ora abbiamo il dovere di combattere quello interno, che è molto più difficile, ma altrettanto pericoloso per la libertà”.
Si trattava dei minatori. Minatori che “mettono in ginocchio il paese” con gli scioperi. Fu guerra, presto vinta, durante la quale l’opinione pubblica –sotto la guida mediatica- si schierò tutta quanta dalla parte del governo. Il sindacato fu accusato di essere un “sabotatore”, di portare alla deriva il bene della nazione. Nigel Lawson, cancelliere dello Scacchiere al momento degli scioperi, avrebbe detto un decennio dopo: “Era come armarsi per affrontare la minaccio di Hitler alla fine degli anni ‘30”.
Il governo vinse anche questa guerra: gli operai avevano fame e non resistevano più.
Alla fine i licenziamenti furono un migliaio. Fu la sconfitta più bruciante per il sindacato più importante della nazione, e divenne un chiaro monito per gli altri.
Il giorno seguente, per i cittadini, cominciarono le prime boccate di medicina amara, e fioccarono privatizzazioni, licenziamenti, macelleria sociale. Senza per questo chiamarsi regime.
23 settembre 2008
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